
Studio per una Medea post-moderna
L’abito da sposa è da sempre metafora del potere dato da convenzioni e formalità, radicate in un’identificazione di genere cristallizzata nel vissuto quotidiano e nel tessuto culturale umano ad ogni latitudine. Il feticcio ordito da trame solitamente biancastre è di per sé un personaggio, una maschera, una giustapposizione al corpo della sposa; simboleggia un legame e quasi un’adesione alla costruzione di uno status e talvolta all’incosciente o inconsapevole costrizione che implica una condizionata scelta. Questa riflessione diviene spunto per una performance, nell’immediata esperienza del “trash the dress”, che ha già trovato ampia diffusione nel mondo della fotografia e che consiste nella distruzione ovvero nella lotta all’ipocrisia legata a quello che viene sommariamente identificato come un abito, in cui ogni donna da sempre ha riposto aspettative e speranze. L’amuleto del “per sempre” viene pertanto bruciato, sadicamente seviziato attraverso una procedura catartica e liberatoria.
Il primo Trash The Dress è stato condotto dalla Torre dal 21 al 25 gennaio 2013 ai Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo, ed ha ricevuto una partecipazione di massa.
Centinaia di attrici, da tutta Italia, hanno chiesto di partecipare a Trash The Dress e continuano ad arrivare adesioni ogni giorno, abbondantemente oltre la scadenza dei termini per la selezione delle partecipanti.